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Immagine del redattoreMichele Lo Foco

La smania espressiva

A cura di Michele Lo Foco.

 


Quando si parla di spettacolo, emergono circostanze che distinguono ed isolano questo ambito dagli altri settori della società e del lavoro.


Una volta la parola attore, che deriva dal latino “agere”, fare, indicava una più o meno ristretta categoria, di addetti ai lavori che avevano frequentato una scuola di recitazione e i registi erano persone che avevano compiuto una regolare pratica ed erano pronte a sperimentare le loro capacità.


Col passare del tempo, con l’affermazione delle televisioni, gli spazi di intrattenimento si sono moltiplicati, e con internet sono diventati infiniti e hanno fatto sì che i confini dell’esposizione al pubblico sono stati oltrepassati, per dar luogo ad una incontrollata e inqualificata smania espressiva.


Questo fenomeno ha determinato che mentre in altre professioni la conoscenza dei mezzi e del territorio lavorativo è obbligatoria e certificata, nello spettacolo chiunque può definirsi attore, presentatore e regista e cercare di trovare collocazione con qualunque mezzo possibile.


Si sa che anche nei casi più nobili il cinema vive di miti e di finzione, e addomestica la memoria in modo da far sembrare positivo qualunque risultato. Un esempio su tutti: nessuno si azzarda a ricordare che Fellini fece fallire quasi tutti i suoi produttori perchè non lavorava con una sceneggiatura ma solo con appunti e disegni, portando con sé troupe gigantesche ed inutili. Certo, lo amavano tutti per la sua generosità lavorativa, ma i finanziatori no, ad un punto tale che alla fine della carriera non trovava più nessuno in gradodi sostenerlo, nonostante gli Oscar ricevuti. Sono stato testimone di questa fase.


Ma il limite alla finzione è stato superato ampiamente: oggi nel piccolo schermo imperversano personaggi imbarazzanti, provenienti da ambiti diversi senza alcuna professionalità né innate capacità istrioniche: andando a cercare la loro nascita non è difficile individuare gli artefici della loro presenza, che ha come risultato inevitabile la modestia dell’offerta se non addirittura l’insuccesso.


Nel cinema, flagellato dal tax credit, è sufficiente dare un’occhiata al David di Donatello per comprendere quante pellicole inutili e velleitarie sono state prodotte.


Lo spettacolo non è un mezzo per soddisfare la propria smania di essere riconosciuti e la regia non è un modo semplice per esprimersi.


I grandi registi, capaci di movimenti di macchina, di creare sensazioni ed attese, possono permettersi di valorizzare aspetti trascurabili della vita, ma chi non ha fatto una severa scuola attitudinale non ha diritto a mortificare l’attenzione del pubblico approfittando a mani basse dell’aiuto statale per manifestare le proprie fantasie.


Rubando la frase a Giovenale potremmo dire che gran parte di coloro che si esprimono nel cinema “duas tantum res anxius optat” (predilige due cose soltanto) tax credit e la propria immagine.

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