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La verità fa male

A cura di Michele Lo Foco.



Leggere che la Sottosegretaria del Ministero della Cultura si è accorta in questo periodo che qualcosa nel tax credit non ha funzionato, e che quindi c'è stata qualche disfunzione, ma che già nel 2022 Franceschini su sollecitazione di Nastasi, si era preoccupato di sottolineare il fenomeno, oltre a lasciare sbigottiti, rasenta una narrazione surreale che ha il difetto di mascherare un fenomeno gravissimo, e cioè un enorme equivoco finanziario ai danni dello Stato.


Che molte società abbiano approfittato di una norma, fatta volutamente male, per arricchirsi, non è incarico da Guardia di Finanza, ma basta un bambino di cinque anni per capire che da quando è stata promulgata la famosa legge i budget dei film si sono decuplicati e le società straniere si sono precipitate nel nostro paese per approfittare della manna statale, benevolmente definita il bancomat tax credit. E non è difficile nemmeno capire che Cinecittà senza il tax credit è destinata a desertificarsi, ammesso che il bilancio precedente, esaltato dalla stampa, regga ai controlli.


Ma già qualche anno prima della legge francheschiniana del 2016, a partire dal 2014, si era verificata, col medesimo Ministro, la sceneggiata del tax credit esterno, che pur con meccanismi più sofisticati, e con la complicità di alcune banche, aveva fatto perdere allo Stato un centinaio di milioni: anche allora nessuno si era accorto di nulla, o meglio nessuno aveva ritenuto di intervenire, perchè a giocare erano società potenti e autorevoli, e ci fu bisogno della stampa e di Report per scoperchiare la pentola.


Di quel periodo e dei meccanismi perversi scoperti dalla Finanza non si è saputo nulla, e pare che molti reati si siano prescritti, ma la cura è certamente stata peggiore della malattia, se con il tax credit interno si è pensato di dare al cinema e alla televisione gratuitamente e lecitamente quello che prima veniva arraffato con quello esterno.


Le cifre si sono moltiplicate e se è vero che ad oggi raggiungono i tre miliardi e cinquecento milioni, milione più milione meno, e che il fiume di denaro continua a fluire, vuol dire che i vertici hanno deciso di considerare i reati audiovisivi tollerabili, forse auspicabili se non addirittura graditi.


Certamente la propaganda ministeriale, ben sostenuta da Rutelli con l'Anica, ha diffuso l'armoniosa panzana che il tax credit fosse democratico e non truffaldino, consentendo a tutti di approfittare della liberalità statale, e addirittura che ogni euro speso ne avrebbe fatti guadagnare 3.50: il risultato è stato che le società accreditate e agevolate hanno raccolto centinaia di milioni di euro, con la complicità delle banche, e quelle piccole si sono accontentate di arrotondare i loro budget con difficoltà inenarrabili.


Ogni euro speso pare poi abbia incrementato la produzione di carote e di qualche altro ortaggio, almeno così narra la Cassa depositi e Prestiti.


In compenso la nostra industria è ormai composta principalmente da società straniere, sia nella produzione ove il tax credit ha favorito l'acquisto delle quote, sia nella distribuzione ,già presidiata dai giganti americani, sia nell'esercizio in quanto più di metà degli schermi sono in mano a fondi americani e cinesi.


Per non parlare poi dei prodotti televisivi, che non si sa (o meglio si sa), perchè debbano avere il tax credit quando è l'emittente a pagare tutto e che rastrellano dallo Stato più dei prodotti cinematografici, cui era destinata la sovvenzione.


Un disastro del quale nessuno nessuno si preoccupa: eppure lo Stato quest'anno non ha erogato un euro a nessuno perchè le casse erano e sono vuote, e l'anno prossimo si preannuncia ancora peggiore, se è vero che il debito consolidato è di circa un miliardo. Di questo le major si proccupano poco, in quanto hanno capitali a sufficienza per aspettare, ma i piccoli non possono che soccombere alla pressione delle banche che come noto non hanno anima. E di nessun pregio è la notizia che il Ministero ha sottoposto alla Finanza centosettanta opere, e che forse i Finanzieri presidieranno l'ingresso degli uffici: forse sarebbe più efficace, giusto e ammirevole che, pur con un ritardo forse incolmabile, venissero verificate quelle situazioni nelle quali i budget e i corrispondenti tax credit sono al di sopra di qualunque immaginazione.


Ma torniamo al bambino di cinque anni, anzi sei: se un film del maestro Pupi Avati, girato anche in America, costa circa tre milioni di Euro, come fanno i film di registi equivalenti, o anche certamente meno capaci , a costare dai dieci ai quindici milioni e nei casi più clamorosi trenta? Non converrebbe all'amministrazione, invece di disturbare i militari che hanno scenari più importanti da esaminare, mettere all'ingresso del tax credit un bambino della prima elementare e fargli valutare i costi? Non è difficile, ictu oculorum già si comprende tutto.


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